Il capitombolo di Mazzini: Pro Patria di Ascanio Celestini
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Il capitombolo di Mazzini: Pro Patria di Ascanio Celestini

Abstract

Ci si può riconoscere oggi negli ideali risorgimentali?  Pro Patria di Ascanio Celestini autore, attore, regista,  parte dall’attualità delle galere,  avvicinando telescopicamente il presente  alle aspettative di quel passato. Una riflessione messa in scena attraverso la figura di un recluso, in cui Celestini  si identifica, che  ha accesso a pochi e polverosi testi della biblioteca della prigione, e scopre  che  il Risorgimento è stata una storia di lotta armata, dove i combattenti erano ragazzi tra i 18 e i 25 anni finiti in cella, o  al cimitero.  La galera per un rivoluzionario è un’opportunità: questa locuzione in Pro Patria, senza prigioni senza processi ci porta al dispositivo  scenico  che vede Celestini dialogare con un Mazzini fantôme, consapevoli entrambi  che gli ideali repubblicani, sostenuti a così caro prezzo,  non sono stati realizzati  con l’Unità d’Italia, perché i padri hanno  tradito i figli. Per comprenderne le ragioni questo carcerato nelle vesti di Celestini vuole con  Mazzini scrivere una  lettera indirizzata  a noi, oggi. Nel confronto  generazionale  padre-figlio,  si azzera la lontananza cronologica fra l’Italia immaginata e l’Italia reale. Alla delusione per questa rivoluzione mancata,  fanno da controcanto i ricordi della Repubblica romana, momento altissimo di elaborazione e applicazione delle idee democratiche  di giuristi, politici, combattenti risorgimentali.

Celestini, seguendo una strategia recitativa collaudata, sta in una scena nuda, enfatizzando dunque l’attenzione del pubblico verso di lui, il narratore. Questa bassa definizione scenografica,  fredda direbbe Mac Luhan, chiede un’alta partecipazione  dello spettatore. Il suo teatro di parola si basa  su una  gestualità  che  rinvia  alla dimensione spaziale degli avvenimenti, e che deitticamente  correla sempre l’enunciato al contesto. Questa figurazione dei  topoi  stabilisce  un  continuo ponte fra passato e presente,  sia ricordando  i nomi delle strade e stradine del Gianicolo e di Trastevere dedicate ai caduti della Repubblica romana, sia simulando  le smilze finestre delle prigioni di oggi; con questo gesto Celestini rinvia all’emblematico  sporgersi o meno dalla finestra della storia, come è stato fatidicamente per Pio IX.

Sul continuum narrativo ad una sola voce domina l’ironia allo stesso tempo  giocosa e drammatica di Celestini che pur parlando di eventi così gravi  assume le sue stesse affermazioni  autovirgolettandole, per così dire, con  irrisoria leggerezza. Non vuole sollevare dei sensi di colpa, non vuole allestire un tribunale e additare i colpevoli,  ma rimettere in marcia idee, emozioni,  giudizi critici sulla storia nel  suo presente continuo.

 

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