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Percorsi del sacro e del politico nell’Italia di prima età moderna: lo stato pontificio e il pastorato cattolico post-tridentino

Abstract

Nelle sue opere Paolo Prodi ha indagato il costante conflitto tra Stati e Chiese per conquistare il monopolio nel modellamento dell’uomo moderno. Questo conflitto ha come esito la separazione mai definitiva e sempre mutevole tra diritto positivo e sfera della coscienza, tra pubblico e privato, in un processo storico in cui lo Stato moderno tende a sacralizzarsi nella misura in cui eredita le funzioni della Chiesa con un processo di osmosi. Partendo proprio dalle proposte prodiane, in questo contributo vorrei mettere in evidenza come nel caso dello Stato della Chiesa non solamente la separazione tra potere spirituale e potere temporale non si compie mai del tutto, ma questi due poteri trovano una sintesi peculiare nell’esercizio della funzione pastorale. Il sovrano pontefice, infatti, è anche “pastore” e la Chiesa, oltre ad esercitare l’autorità spirituale e il governo temporale, esercita un magistero pastorale che opera secondo economie di governo delle anime e dei corpi che le sono proprie. La disciplina dei sudditi e dei credenti, in altri termini, si affianca e s’intreccia alla cura del gregge. Nella prima parte del contributo ci si soffermerà sull’analisi prodiana del sovrano pontefice per ricostruire i tratti specifici del consolidamento istituzionale e dottrinale dello stato della chiesa tra Quattro e Seicento. Nella seconda parte si metterà in evidenza il ruolo svolto in questo processo da una civil conversazione cattolica intesa come modello di una “forma del vivere” cattolica . Nella terza parte si discutono i tratti della pastorale cattolica. Se il sovrano-pontefice rappresenta la modalità specificamente cattolica di intendere la sovranità politica ed esprime una sacralità “concentrata”, perché espressa nella gerarchia ecclesiastica e particolarmente nella figura del papa, la centralità che assume tra cinque e seicento la dimensione “pastorale” dell’impegno cattolico rappresenta la capacità della Chiesa, più che dello stato pontificio, di innervare il quotidiano dei fedeli attraverso la devozione, la preghiera, la confessione, le liturgie e le feste. Questa dimensione pastorale consente una presa sui corpi attraverso la forma della legge o i precetti della dottrina, e sulle anime per mezzo di una disciplina volontaria all’obbedienza e alla carità. Attraverso di essa il sacro si diffonde e pluralizza in una molteplicità di luoghi e di momenti che “riempiono” la vita del credente e lo vincolano alla ecclesia attraverso percorsi di adesione volontaria. L’Italia di prima età moderna costituirebbe, pertanto, un laboratorio particolarissimo in Europa nel quale la disciplina ecclesiastica e il controllo dottrinale esercitati dalla Chiesa si integrano con un governo pastorale disseminato e capillare.

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